Dazi al 30%: ombre sull’export agroalimentare italiano negli USA

Anche se si parla già di un vicino accordo commerciale del 15% tra Unione Europea e Stati Uniti, la minaccia dei dazi al 30% sui prodotti europei, annunciati dal presidente USA Donald Trump, è ancora reale e potrebbe causare danni fino a 2,3 miliardi di euro alle famiglie americane e all’agroalimentare italiano. Lo rivela una recente analisi di Coldiretti realizzata sulla base dell’impatto delle tariffe aggiuntive – dal 1° agosto 2025 – per le filiere nazionali, che devono far fronte contemporaneamente alla richiesta di “sconti” da parte degli importatori, alla diminuzione dei consumi di prodotti food italiani in Nord America – conseguente all’aumento dei prezzi – e a una maggiore diffusione del falso Made in Italy, che già oggi rappresenta un “affare” da 40 miliardi.
Calo delle esportazioni e rallentamento della crescita
La riduzione dell’export si aggiunge allo stop alla crescita dei prodotti alimentari Made in Italy, che nel 2025 puntavano a superare il traguardo dei 9 miliardi di euro, dopo il record di 7,8 miliardi raggiunto lo scorso anno grazie all’incremento del 17% delle vendite. La situazione d’incertezza ha generato un clima di attesa: molti operatori hanno preferito bloccare le spedizioni verso gli USA.
I prodotti più colpiti dalle nuove tariffe
Con il dazio al 30% le tariffe aggiuntive, sommandosi a quelle esistenti, per alcuni prodotti simbolo del Made in Italy arriverebbero al 45% per i formaggi, al 35% per i vini, al 42% per il pomodoro trasformato, al 36% per la pasta farcita e al 42% per marmellate e confetture omogeneizzate, come rivela la proiezione Coldiretti.
Secondo il report Cia-Agricoltori Italiani, che analizza i dati di Nomisma e dell’Ufficio studi confederale, tra i prodotti più in difficoltà figurano i vini e alcuni formaggi come il Pecorino Romano, con un export USA al 57% del valore di quello complessivo, che sfiora i 151 miliardi; il Gorgonzola Dop, con un mercato da oltre tre milioni di euro e 387 tonnellate di prodotto esportate ogni anno, potrebbe arrivare a costare il doppio ai consumatori statunitensi.
Alternative possibili al mercato USA
Se gli Stati Uniti diventano un mercato difficile per l’agroalimentare italiano, quali potrebbero essere delle alternative strategiche? C’è un grande potenziale in Estremo Oriente (Cina, Giappone e Corea del Sud) e Medio Oriente (EAU e Arabia Saudita); il Sud America, dove la cultura italiana è profondamente radicata dai tempi delle grandi migrazioni tra fine ‘800 e metà ’900; i mercati anglofoni come Canada, Australia e Nuova Zelanda nei quali è in crescita la domanda di Dop e Igp. Non dimentichiamo l’Europa: c’è spazio di crescita ulteriore in Germania, Francia, Belgio e Scandinavia, e ancora in Slovenia e Croazia, che condividono parte della storia culinaria italiana, o in Albania, che rappresenta un interessante mercato complementare.