IRI: Il trend trainante del 100% italiano per la pasta di semola
IRI: nel mercato della pasta esiste un gap del 5% tra crescita a valore ed a volume. Forte il trend del 100% italiano
“I mercati andranno in contrazione e per quelli che sono cresciuti tanto durante la pandemia registreremo sicuramente una controcifra, seppur non così negativa come quella attesa per i primi mesi del 2020”. Queste le previsioni di Alessia Fraulino, Business insights director di IRI, intervenuta nel webinar di Cibus Lab e Gdo News “Primi piatti, pasta, salse, sughi pronti e rossi: i colori dell’Italia nel mondo” per analizzare l’andamento del prodotto italiano per eccellenza.
“Dobbiamo attenderci una polarizzazione dei consumi – ha previsto – ci sarà una fetta di popolazione che si rivolgerà ancor di più a prodotti premium, andando a cercare certificazioni e sostenibilità sempre più interessanti per il consumatore. Ci sarà, purtroppo, anche una fetta sempre importante di persone che si rivolgeranno invece a prodotti dalla battuta più bassa ed economica. La pasta, sana, gustosa ed economica, potrà sicuramente avere una rivitalizzazione anche nei confronti di mercati come quello dei piatti pronti che in questo periodo hanno invece avuto il sopravvento”.
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(Business Insight Director – IRI Worldwide)
Previsioni basate sull’analisi della situazione attuale e dell’impatto che il Covid-19 ha avuto sul settore, accelerando tendenze già in atto oppure sviluppandone di nuove. Un mercato quello della pasta di semola secca che nel macromondo del classico primo italiano – che comprende passate, polpe, pelati, sughi pronti, riso, pasta secca, all’uovo e ripiena – vale circa 2,6 miliardi di euro e che nel 2020 ha registrato un tasso di crescita eccezionale con un +11%.
“Parliamo – ha spiegato Fraulino – di mercati che hanno avuto grande vantaggio dal lockdown in particolare nei primi mesi dello scorso anno, con la pasta di semola e derivati che sono cresciuti maggiormente. Tutti infatti ricordiamo le immagini degli scaffali svuotati nei primi mesi del 2020”.
“Il mercato della pasta di semola secca – ha proseguito – veniva da anni di lenta ma costante contrazione a volume, per effetto di cambi di stili di vita di un consumatore che sta riducendo sempre di più la quantità, guardando ad una dieta con un minor contributo di carboidrati. Nel 2021 iniziamo a leggere delle confrocifre, i mercati che sono cresciuti molto cominciano a flettere, vanno bene gennaio e febbraio mentre per marzo e aprile ci confrontiamo con lo stesso periodo eccezionale del 2020 con crescite del 15-18% e poi con il ritorno al lavoro e a scuola. Quindi, complessivamente la pasta di semola e i derivati del pomodoro fanno registrare un -5%. A seguire tutti gli altri con il riso maggiormente penalizzato dal mercato con un -9%”.
Per l’analisi delle peculiarità del mercato il rapporto è stato fatto con un anno “normale”, cioè il 2019, con quello in corso che si conferma positivo con un +8,6% e i mesi di gennaio e febbraio assolutamente trainanti per tutto il 2021. “La particolarità del mercato della pasta – ha osservato Fraulino – che osserviamo già dagli anni precedenti alla pandemia, è il gap di quasi cinque punti percentuali fra la crescita a valore e quella a volume, ovvero il mercato si sta spostando verso segmenti di valore e i prezzi stanno aumentando, fondamentalmente per due motivi. Il primo riguarda la pressione promozionale che è stata ridotta di quasi cinque punti percentuali nel 2020, fenomeno questo di tutto il mercato del largo consumo confezionato, che ha avuto grande difficoltà a fare piani promozionali, volantini e scaffali. Pressione promozionale che sta cercando di recuperare ma che nel 2021 è ancora sotto di un 3% rispetto al 2019. Un mercato nel quale il 50% del fatturato è ottenuto comunque attraverso dinamiche promozionali”.
“Altro elemento che viene dal passato – ha proseguito – è lo spostamento verso prodotti che hanno una battuta di cassa più alta. Mediamente infatti i prezzi sono aumentati del 4% nel 2020, dato che sale al 6% se guardiamo al 2019”.
Quanto alle aree geografiche, nel 2021 la più importante resta quella del Sud che non mostra controcifre rimanendo sostanzialmente stabile, sta quindi crescendo alla doppia cifra del 2020. Lì infatti si registra un terzo del fatturato, il doppio rispetto a quello del Nord-Est e un terzo in più rispetto al Nord-Ovest e al Centro, anche se alla crescita del 2020 ha contribuito tutta la Penisola.
“Ad eccezione dell’ipermercato – ha aggiunto l’analista di IRI – tutti i canali della Gdo l’anno scorso hanno contribuito alla crescita della pasta. Anche in questo caso parliamo di un dato condiviso con tutto il largo consumo confezionato, con i supermercati che sono cresciuti del 11% e il discount che ha brillato più di tutti con un +16% nel 2020 ed è l’unico a mostrare un trend positivo nell’anno in corso. Normalmente il discount vale nel largo consumo circa il 18% ma nella seconda parte dell’anno scorso ha fatto un balzo ulteriore con l’accelerazione della crisi economica affrontata dalla popolazione, mentre il mercato della pasta vale solo l’11%. Altra peculiarità in termini di canali è il peso molto importante della pasta di semola che hanno il tradizionale e la parte più bassa della Gdo e libero servizio. Piccole strutture sotto i 400 metri quadri – molto più diffuse nel Sud Italia – che canalizzano circa il 24% del giro d’affari della pasta”.
Per quanto riguarda le vendite online, il mercato è ancora piccolo (vale l’1,03%) ma ha un tasso di crescita molto interessante pari al +150% e l’anno scorso ha fatturato 17 milioni di euro, mentre i formati si dividono principalmente fra il mezzo chilo (pari al 80% del mercato) e il chilo che in Italia vale mediamente il 14% crescendo fino al 23% a valore nel Sud-Italia. Un terzo a volume, che in alcune regioni sfiora la metà dei volumi.
“Entrambi i formati – ha sottolineato in proposito Fraulino – hanno contribuito alla crescita del 2020 (+10% e +11%) e stanno avendo la stessa controcifra quest’anno. Nell’ottica di una crisi che nei prossimi mesi si sentirà sempre di più, è da evidenziare il vantaggio di prezzo offerto dal formato da un chilo che in media costa il 40% in meno rispetto a quello da 500 grammi”.
Altro segmento rilevante è quello delle miscele di farine visto che negli ultimi anni oltre alla classica semola di grano duro con acqua, l’offerta si è allargata con farina integrale, pasta di cereali, kamut e farro, mais e riso per celiaci e pasta arricchita con proteine vegetali.
“Tutti prodotti – ha osservato – che industria e retailer hanno messo sullo scaffale per soddisfare i consumatori di nicchie sempre più impellenti che oggi sono arrivate a pesare il 12% del mercato. Tipologie che nel 2020 però non sono riuscite a sostenere lo stesso trend di crescita della classica che è avanzata del 11% a fronte di un tasso più basso delle altre. Conseguenza questa della profondità degli scaffali e degli assortimenti ma anche della difficoltà di approvvigionamento nei primi sei mesi dell’anno. Parliamo comunque di prodotti che hanno prezzi medi molto superiori rispetto alla pasta classica, indici che vanno da 1,5 volte l’integrale alle sei volte della vegetale. Per abbattere la battuta di cassa spesso infatti i pec hanno grammature inferiori. Questi prodotti permettono alle aziende del segmento di uscire dal circolo vizioso di una pressione promozionale aggressiva che è quasi del 50%, in questo ambito infatti si aggira intorno ai venti punti percentuali”.
Altro elemento analizzato nell’intervento targato IRI è stato quello delle certificazioni della materia prima e della produzione, in questo caso biologico, senza glutine e 100% grano italiano. Biologico che nella pasta di semola vale il 5%, sopra media rispetto al largo consumo confezionato dove mediamente si attesta al 2,6% con un andamento meno performante rispetto al resto del mercato.
“Al di là del periodo Covid-19 – ha affermato Fraulino – i suoi tassi di crescita non erano particolarmente positivi, infatti anche in termini di assortimento stiamo cominciando a leggere delle contrazioni anche perché mediamente il prodotto biologico costa il doppio rispetto al classico. Vale invece il 3% il senza glutine che ha tassi di crescita costanti (+6/7%) e costa mediamente tre volte più del classico. Si tratta di un prodotto a cui in genere viene dedicato uno scaffale a parte, insieme a tutti gli altri per celiaci, quindi viene estraniato dallo scaffale lineare della pasta di semola”.
“Certificazione per eccellenza è quella del grano 100% italiano, così definita da Decreto ministeriale del 2017 che obbliga a inserirne la provenienza nell’etichetta. Certificazione che è stata un push importante delle vendite imponendosi come trend trasversale che ha subito un’accelerazione nel periodo della pandemia. Ad oggi – ha affermato ancora – nella pasta il 46% del fatturato è ottenuto da prodotti che hanno certificazione 100% grano italiano (con prezzi superiori del 20%) e la crescita di questo segmento è decisamente superiore ai prodotti non nazionali, cosa che si nota anche nell’allestimento degli scaffali. Queste miscele stanno portando il mercato verso prodotti di valore e stanno giustificando gli aumenti dei prezzi”.
In conclusione ci si trova davanti a un mercato maturo e molto grande, che vale un miliardo e 300mila euro e che, al di là del periodo dell’emergenza, già da anni mostrava contrazioni a volume. Quali potrebbero essere dunque le tendenze da cavalcare alla luce di questo scenario? “Sicuramente – ha concluso Fraulino – la certificazione di origine è quella che ha fornito il più grande stimolo al mercato, anche se sappiamo benissimo che non c’è materia prima sufficiente per soddisfare l’intera domanda interna. Il volume potrebbe crescere se si affermasse lo smart working come nuova tipologia di lavoro anche solo per alcuni giorni alla settimana. Questo rivitalizzarebbe il consumo casalingo del prodotto, oltre alla spinta sul discount e su alcune grammature che possono offrire al consumatore un prezzo più conveniente”.
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